Io sto con l’imam

C’era da aspettarselo. Le pesanti critiche della Lega al cardinale Tettamanzi, arcivescovo di Milano, non stupiscono più di tanto, ma semmai, amareggiano. “Ma è un vescovo o un imam?” titola La Padania in risposta al suo “discorso alla città” in cui levava l’indice su amministratori e istituzioni non più favorevoli all’accoglienza ma alla repressione.

Certo arrivano tempi duri anche per la Chiesa, almeno per quella parte di Chiesa che maggiormente agisce secondo la genuinità del messaggio di Cristo. Che non si formalizza su aspetti esteriori, quali che siano, ma va al sodo, al concreto di un amore universale che non guarda alla razza né alla provenienza, né tantomeno all’italianità o meno delle persone. La cui “tradizione” risale non ai tempi della Padania ma a quelli ben più remoti delle vicende di quella Palestina lontana, con un Cristo errante, anticonformista, vagabondo senza un tetto su cui posare il capo…

Ecco: in fondo, è questa la Chiesa che preferisco. Anche – e soprattutto – se diventa una Chiesa perseguitata, anziché una Chiesa del potere.

Io sto con “l’imam”. E voi?

Nota: Leggi anche il comunicato stampa Pax Christi Italia esprime solidarietà al card. Tettamanzi

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Ma non è una festa

Siamo alle solite – e per fortuna che la ricorrenza passa ormai un po’ sottotono, e non dà più quel giorno di “festa” in più, tanto comodo nel passato per costruir meglio il “ponte dei Santi”…

Parlo ovviamente della giornata di oggi, che da “Festa della Vittoria” diventa da tempo “Giornata delle Forze Armate” come se si dovesse gioire in questo, nell’esistenza stessa di “forze” dello Stato capaci sì di “difendere il territorio” ma soprattutto di perpetuare il concetto che per portare una “pace” occorra arrivare a toglier la vita ad esseri umani come noi.

Una giornata che – come anche leggo dall’editoriale odierno su Peacelink – sia invece una proposta, e vissuta come momento di riflessione e magari di maturazione personale. Come sorgente di atti che portino a tutti noi quella cultura di pace che solo un’educazione alla pace può generare.

Nella nostra società attuale, società dell’immagine, siamo tutti intrisi di apparenza e non di vita concreta. Viviamo spesso “a imitazione di”, secondo i cliché che il mezzo mediatico d’eccezione ci inonda dai suoi pixel colorati, e che più o meno inconsapevolmente assorbiamo. E se per esempio vengono elogiate le nostre truppe in Afghanistan, ecco che il concetto stesso di “forza armata” diventa un modello in positivo – altro che le convinzioni sagge di chi appena dopo l’ultimo conflitto – come pure dopo la Grande Guerra – faceva scaturire dalla propria esperienza degli orrori vissuti e subìti!

Nessuna festa per oggi. Sarà festa finalmente quando diverrà concreta, anche nel nostro vivere e nella nostra società, la convinzione di chi, memore della furia distruttrice di quegli anni bui del secolo passato, arrivò a fissare, nella speranza di un futuro migliore, nell’articolo 11 della nostra Carta. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”

Arriveremo a una civiltà senza guerre?

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La prima vittima

Nel turbinare veloce delle notizie online rimane impresso un titolo – oramai di ieri, e già sparito dalla home del quotidiano – e s’accende amara la riflessione.
Un’immigrata marocchina – ospite del fratello già da tempo regolare in Italia – non ce l’ha fatta. Disperata e terrorizzata dall’arrivo della data di oggi, quando parte la norma che chiama reato il solo esser stranieri e “clandestini” in Italia, e dopo che a lungo aveva cercato di mettersi a posto con la legge, s’è tolta la vita gettandosi nel fiume Brembo, in provincia di Bergamo.

Una “cronaca di un suicidio annunciato” a cui, razionalmente, non è facile nonostante tutto scegliere il colpevole, perché sicuramente ve n’è più di uno. La burocrazia che genera “mostri” e crea situazioni di stallo quasi impossibili da superare? Il legislatore (ma fa senso in Italia oramai chiamarlo così!) che non ha scrupoli nel scavalcare le più elementari norme della coscienza civica e umana per un’idea contorta di localismo e supremazia dell’Italiano o del Lumbard? Qualche sguardo insofferente che s’incrocia col “diverso” lungo il camminare per le strade (e anche se in mezzo a persone razionali e umane, le eccezioni ci son sempre)?

Fatto sta che la vittima è arrivata. La prima vittima, con qualche colpevole a cui vorrei potervi instillare nell’anima una briciola di coscienza e di rimorso. Ma quando i colpevoli presi singolarmente son solo ingranaggi di un meccanismo di Stato che diventa e diventerà sempre più omicida e “selettore” per l’esistenza dei cittadini, come affidare a una giustizia terrena la misura del dolo?
Resta l’amarezza per quanto è accaduto (Era una vita! Una vita umana!!) e la paura sempre più grande per la discesa in caduta libera, in questo nostro disgraziato Paese, di quanto avevamo in cuore come cultura, senso di appartenenza a un’umanità globale, rispetto di valori interiori e dello stesso “essere vivi”.

Una giustizia divina arriverà? Il Grande e Misericordioso alla fine userà la sua bilancia di giustizia ma ahimé non già qui su questa Terra. A noi – a noi che ancora nonostante tutto crediamo e lottiamo e soffriamo perché questi valori restino vitali! – rimane solo il “resistere” incessante e solidale, e intrecciato col comunicar valori e cronache anche se con le difficoltà e gli ostacoli che sempre più arriveranno. Il Grande e Misericordioso accolga l’anima della disperata sorella. Morta di un suicidio ma con altri colpevoli.

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