Da Mauro Biani: Il Papa e Pertini

Il Papa e Pertini

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Dio non era nel maremoto

Dopo i giorni dello tsunami, e dopo il terremoto che sta sconvolgendo di nuovo alcuni Paesi dell’Estremo Oriente, ho “ripescato” – apparsa ai primi di gennaio sul quotidiano “Liberazione” – una importante riflessione di Raniero La Valle.
Che con la sua saggezza ci aiuta a riflettere, a collocare Dio (o gli “dii” come scrive lui, quelli evocati tanto a sproposito per fini di potere) al suo giusto posto.
E’ troppo facile attribuire a Dio tante sciagure; ma la maturità dell’uomo deve arrivare alla consapevolezza che quando queste sciagure accadono, non è “Dio che gioca a dadi”, ma nuovi equilibri devono crearsi, tra l’umanità tutta e tra noi e la natura.
“Ciò detto, resta il grido che si è levato dalla terra e dal mare dell’Asia, che ci dice tre cose: la prima è che la terra è in pericolo, e che il chiavistello delle acque che oggi è stato aperto dalla natura, domani può essere fatto saltare da noi e dalla nostre politiche dissennate; la seconda è che la terra è una, l’umanità è una, non c’è un destino per i poveri e per i ricchi, e perciò sono illusorie le politiche fondate sulla discriminazione tra privilegiati ed esclusi, tra salvati e sommersi sul piano mondiale; la terza è che non c’è “un Dio che gioca a dadi” con l’Apocalisse, e non “casca il mondo”, come titolava il Manifesto; ma che vanno rovesciate le politiche apocalittiche che giocano d’azzardo con la storia, che si ritagliano un mondo da salvare e da godere contro un mondo a perdere e da lasciar patire, e gli dichiarano una guerra sacrosanta e infinita.”


«Dio non era nel terremoto». Questa affermazione perentoria è stata fatta dallo scrittore biblico, molto prima che qualche cardinale venisse ad inquinare le acque, quelle del maremoto asiatico, col dire: “Dio ha voluto metterci alla prova”. L’intenzione del cardinale Martino era buona (alla prova sarebbe “la nostra capacità di essere solidali”) ma questo tirar Dio dentro il terremoto è devastante, perché un Dio così, a questi prezzi, nessuno lo vuole. L’ateismo ne sarebbe l’unico rimedio; e allora non ci si può lamentare se Eugenio Scalfari, nel concludere sulla Repubblica il dibattito sul laicismo, dice che Dio muore e le religioni restano, e se deve essere lui a ricordare che “Gesù di Nazareth ha modificato il Dio di Abramo, di Giobbe, del Qoelet, il creatore del Leviatano, il Dio incontinente e tuonante dall’alto dei cieli”.Dio non c’entra con i terremoti ma, per i credenti, c’entra con la risposta da dare ai terremoti, come al crollo delle Torri Gemelle come ad ogni altro disastro e sciagura, che sia provocata dalla natura o dall’uomo.

Lo scrittore biblico l’aveva avvertito anche prima che si rivelasse il Dio di Gesù: “Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu un mormorio di un vento leggero”, e Dio era lì, come racconta il Primo libro dei Re.

L’idea che Dio c’entri con i terremoti, gli tsunami e le stragi, di innocenti o non innocenti, sia pure per metterci alla prova, deriva da una incauta lettura provvidenzialista della storia, che è stata veicolata anche dalla tradizione cristiana, fino a rispecchiarsi nel detto popolare: “non si muove foglia che Dio non voglia”.

In effetti è una lettura che non solo fraintende il Dio di Gesù, che è il Dio della redenzione e non delle mazzate, ma anche il Dio della creazione, nella quale è incluso il Sabato, nel quale Dio “si riposò”; il giorno del riposo di Dio è il giorno della storia, nel quale si sprigiona l’opera della mente e delle mani dell’uomo (il lavoro), e la natura ha il suo corso.

È intervenuto il Papa, domenica scorsa, a chiarire il rapporto tra Dio e le catastrofi; esso consiste in questo, che “anche nelle prove più difficili e dolorose, Dio non ci abbandona mai”; dunque è un rapporto di amore e di libertà. Ma anche Wojtyla non sempre ha pensato così. Come lui stesso ci racconta nel libro autobiografico che sarà pubblicato quest’anno, quando era ancora solo un giovane prete polacco, alla caduta del nazismo, pensò che Dio avesse concesso al nazismo un termine di dodici anni, oltre il quale non andare, mentre al comunismo, in quanto “male necessario”, ne stava concedendo molti di più; era appunto un ragionare acerbo, perché che Dio sarebbe quello alla cui “concessione” si dovessero far risalire i milioni di morti e i dolori provocati nei soli dodici anni di nazismo, o le conseguenze di mali “necessari” non imputabili alla sola responsabilità umana?

Dopo Auschwitz il provvidenzialismo, nel senso antico, è stato profondamente ripensato, e anche dopo lo tsunami lo deve essere. La questione “quale Dio” è la vera questione irrisolta, e non solo in Occidente. Quella che invece è stata prepotentemente riaperta è la “questione religiosa”, e tutti ne discutono, anche quelli che non credono affatto, magari per gettarla nella fornace dello scontro di civiltà con l’Islam, per fornire un’identità all’Europa, per inventarsi una “religione civile” e una chiesa non confessionale, o per rivendicare i fasti dei “monaci in armi” come nella mostra storaciana di Castel Sant’Angelo. E così tutto si confonde.

Noi non abbiamo alcuna ragione di riaprire una questione religiosa, che nello Stato laico e nel diritto ha già la sua soluzione. La questione è invece di sapere che Dio è quello cui si appella Bush per la sua guerra perpetua e la sua Guantanamo che imprigiona a tempo indeterminato, quello cui si appella Sharon per negare ai palestinesi una terra che in quanto promessa “è degli ebrei e degli ebrei soltanto”, quello a cui si appellano gli islamisti per dire che se Israele vince con l’ebraismo, l’Islam deve vincere con la sharía e con lo Stato coranico, quello che perfino Berlusconi evoca per la contesa casareccia del bene contro il male e degli angeli contro i “demóni”. Perché di certo o qualcuno di questi dii non è il vero Dio, o è un Dio che per primo si deve convertire; o si deve convertire la percezione che abbiamo di lui.

Ciò detto, resta il grido che si è levato dalla terra e dal mare dell’Asia, che ci dice tre cose: la prima è che la terra è in pericolo, e che il chiavistello delle acque che oggi è stato aperto dalla natura, domani può essere fatto saltare da noi e dalla nostre politiche dissennate; la seconda è che la terra è una, l’umanità è una, non c’è un destino per i poveri e per i ricchi, e perciò sono illusorie le politiche fondate sulla discriminazione tra privilegiati ed esclusi, tra salvati e sommersi sul piano mondiale; la terza è che non c’è “un Dio che gioca a dadi” con l’Apocalisse, e non “casca il mondo”, come titolava il Manifesto; ma che vanno rovesciate le politiche apocalittiche che giocano d’azzardo con la storia, che si ritagliano un mondo da salvare e da godere contro un mondo a perdere e da lasciar patire, e gli dichiarano una guerra sacrosanta e infinita.

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Shalom

Sugli echi di qualche antico salmo, quasi una litania di preghiera, ecco il mio augurio per l’anno appena iniziato.
“Shalom”, pace, come lo intonavano gli antichi Ebrei e come tutti gli umani di buona volontà lo potrebbero intonare. Aggiungendo alla “Terra promessa”, tutte le “terre promesse” a dimora dei popoli perseguitati, e ricercando la pace direttamente nel cuore degli umani, anche in coloro la cui purezza è offuscata dalle illusorie suggestioni del potere e della ricchezza materiale.


Shalom.
Shalom. Pace.

Sia pace su Israele.
Sia pace sulla terra promessa di Israele
e su tutte le terre promesse ai popoli della Terra.
Shalom. Pace.

Sia pace sulle terre martoriate
sulle terre afflitte dai flutti della storia
e dalle violenze dell’uomo.
Sia pace sui campi seminati dalle mine dell’uomo
sui boschi e sulle città che erano vita
spazzati via dalle guerre dell’uomo.

Shalom. Pace.

E sia pace
Sia pace nel cuore dell’uomo.
Sia pace nel cuore deluso
distratto
illuso
nel cuore derubato dell’innocenza di bambino
e dei diritti di umano abitante.
Shalom. Pace.

E sia pace nel cuore di chi calcola
cifre asettiche di volubile denaro
e disperso
dal vento dell’illusa ricchezza
che non è gioia.
Shalom. Pace.

Sia pace.
Sia pace finalmente.
Nel ritrovato ambiente.
Nel ritrovato cuore.
Nel ritrovato avvertire legami mai spenti
umani
universali.

Shalom. Pace.
Pace.
Pace su Israele.
Pace su tutte le terre.
Pace sulla terra del cuore dell’uomo.

Pace. Finalmente.
Shalom.

Roberto Del Bianco

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