Ma adesso, facciamo silenzio…

Ancora il Parlamento strepita, nell’arrogante pretesa di sfruttare un caso di vita – e di morte, essendo la morte parte di essa – come cuneo scalfittore del nostro Stato di diritto.

VoloLontano dai media, un’anima ha scelto forse la cosa più giusta, lasciare dal suo silenzio infinito il corpo inutile. Il suo spirito tormentato trovi pace.

E adesso, per favore, umani di questa Italia divisa, abbiate la sensibilità e la grazia di ritornare in silenzio alle cose solite. Alla ricerca di soluzioni ai problemi di noi vivi. All’incontro proficuo e rispettoso secondo le regole della democrazia.

Si cali il sipario sulla vicenda. Facciamo silenzio, e gli attori e le comparse che tanto si sono agitati in questi giorni, lascino il palcoscenico in punta di piedi.

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La decrescita (in)felice

Old_Cavi_LavagnaIncontrassi un talebano – ammesso di sopravvivere all’incontro – vorrei potergli dire: “Iddio grande e misericordioso, è pure saggio, e più saggio di voi. A che serve affaticarsi a minare l’Occidente con bombe e fedeli kamikaze quando è l’Occidente stesso ad avere in sé i semi della sua distruzione?”

. Distruzione spero di no, ma recessione, decrescita economica e nuovi equilibri nella società probabilmente si incontreranno, nei prossimi anni del nostro cammino di popoli “nati fortunati” in questo pianeta. Uno sgretolamento delle forze che fino ad ora (ma non da sempre) hanno fatto da padrone nella gestione per molti versi folle delle risorse dei popoli e degli avvenimenti. Un ridimensionamento delle aspettative, ed è forse la Terra stessa che si sta scrollando di dosso quanto da tempo le appesantisce la vita di essere vivente globale. Una decrescita quindi, diventeremo tutti più poveri? E’ allora giusto allarmarsi?

Ma chissà che con questa possibile povertà materiale, non si ritrovino invece nuove misure, nuovi equilibri fatti finalmente non solo di soldi ma anche di valori umani dimenticati o messi in secondo piano, di insperate solidarietà.

Utopie? Forse. Dipenderà dalle reazioni a tutto ciò. Dalla resistenza – che è grande – delle forze economiche già adesso affannate al recupero, alla ricrescita, alla sopravvivenza del sistema. Dalla consapevolezza dei singoli e delle nazioni, dall’accettazione di regole diverse e soprattutto, dal sapere riproporre  (o proporre finalmente ex novo) intrecci e legami diversi tra sé stessi, gli altri e la natura (e qui, sicuramente, tanti scrolleranno la testa pensando appunto, è un’utopia!).

Ma già studiosi della società – e parti sempre più numerose della società civile – vi stanno pensando. Il titolo messo qui sopra viene proprio da un libro da tempo pubblicato (vedi ad esempio qua) come pure da un crescente movimento di idee e di persone, incentrato proprio sul concetto che l’economia globale sta distruggendo il mondo, il mondo stesso sta agonizzando, ed è necessario dare un freno, ritornare un po’ indietro, imparare a vivere senza per forza consumare.

Un’utopia realizzabile, quindi. Certo, una decrescita “infelice”, per molti. Ma c’è già chi la pensa in modo opposto. E magari, ha trovato l’unico modo possibile per prepararsi ai nuovi equilibri che verranno.

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Alla fine degli imperi

E’ risaputo (ed è esperienza purtroppo sempre attuale). Quando un impero finisce, ciò che resta ha poche chances di restare nella pace.

Successe ai tempi dell’antica Roma. Successe nella ex Yugoslavia alla morte di Tito; e continua a succedere ancora – cronaca a puntate che ne riporta in questi giorni le ultime novità – nel territorio dell’allora Unione Sovietica dopo lo sgretolamento della ex seconda superpotenza.

Quando un impero finisce, gli Stati che lo compongono non ne subiscono più l’influsso, ma nemmeno il collante necessario per mitigare tensioni e incomprensioni e inimicizie etniche e religiose. Già Terzani nel suo libro-reportage “Buonanotte signor Lenin” descriveva l’acuirsi dei conflitti tra le varie regioni dell’impero sovietico al momento del suo crollo, molle di meccanismi che che il tempo aveva teso via via, predicendo quanto poi nella realtà qua e là è accaduto e sta accadendo. Il conflitto tra Russia e Georgia non è una sorpresa.

E il mio pensiero spazia allora a quanto lessi tempo fa dal sociologo norvegese Johan Galtung (colui che predisse a distanza di anni, e con uno scarto di appena due mesi, il crollo del Muro di Berlino) che afferma, anche l’impero statunitense soccomberà. Di certo il suo territorio non ha Stati membri in cui covino tensioni forti o differenze acute etniche o religiose – e la stessa popolazione è un vasto crogiolo di razze che convivono più o meno efficacemente. Ma l’influenza degli USA nel mondo è tale da porsi il dubbio, se tale collante s’allenterà, che succederà allora? Riusciremo a trovare una via alternativa, di convivenza e nonviolenza nel pianeta?

E’ un quesito su cui varrebbe la pena batterci il capo, e lavorare – chi può, chi deve – per la sua risoluzione.

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