E allora ero un ragazzino

moon_earthBé sì, quarant’anni fa ero un ragazzino – tredici anni e mezzo e ne mostravo ancor di meno – quando l’Apollo 11 allunò.

Un ragazzino con emozioni e sogni di ragazzino. Seppur, ricordo bene, togliendo banalità quali giudicavo già le vicende del calcio e dello sport, come pure le canzonette sdolcinate allora in voga nei juke-box in spiaggia. Epperò lasciando, nei sogni della mia immaginazione, incontri ravvicinati con i “padri” della scoperta scientifica e delle conquiste spaziali…

Ecco allora con quanto tremore ed ansia emotiva arrivai al giorno del touch down; alla radio i giorni del lancio e del viaggio, e la sera dell’evento davanti a un televisore nella sala di un bar, nel luogo di mare dove stavo coi miei per le vacanze.

Già da tempo avevo collezionato – anche la notte dal grosso “Radiomarelli” di casa – le passate imprese dei miei spaziali eroi: fin dai voli delle Gemini, le passeggiate spaziali, le prove di attracco in orbita terrestre… la conquista dello spazio era per me un segno del progresso, che – o me illuso! – avrebbe portato alla fine anche a un bene a tutta l’umanità.

20 luglio di quarant’anni fa, allora; la folla di persone accalcate e col viso attento allo schermo biancoenero su quell’alto piedistallo. E ricordo ancora la voce gracchiante “Qui Nuova York, vi parla Ruggero Orlando”, e la cronaca in diretta di Tito Stagno dal telegiornale. E le emozioni di quei passi silenziosi e sfocati discendere accennati e tremolanti dalla scaletta del LEM, con quei trecentomila e passa chilometri percorsi dalle onde hertziane per portare a noi, secondi dopo, l’impatto visivo di qualcosa che ci sembrava l’inizio di un’epoca – e forse ne segnava solo il proseguimento, o magari il culmine di una parabola che poi andrà via via a calare..

A tante cose oggi non si bada più; e siamo così svezzati e viziati e ingrulliti dalle tecnologie. E tante cose sono pure cambiate, le tecnologie stesse svelate armi a doppio taglio, e con l’Umanità tutta in bilico in un forse di folle ecatombe a cavallo tra olocausto globale e clima impazzito lungo le curve del nostro piccolo pianeta. E forse con un pizzico di saggezza in più, e di sana disillusione – e per alcuni, di amarezza profonda.

Alto su noi, il satellite del miracolo tecnologico di quarant’anni fa. Testimone – assieme agli oggetti gli strumenti e le spazzature terrestri lasciate là – di un’epoca che ha brillato per un momento e ha lasciato sperare in un’illusione di umanità lanciate verso un benessere di tutti. Viaggiatori spaziali del futuro forse sospireranno – e saranno più saggi di noi – guardando il pianeta non più così azzurro in alto sull’orizzonte lunare. Anche se spero che ciò sia solo… fantascienza dubbiosa nella mia mente.

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Ma adesso, facciamo silenzio…

Ancora il Parlamento strepita, nell’arrogante pretesa di sfruttare un caso di vita – e di morte, essendo la morte parte di essa – come cuneo scalfittore del nostro Stato di diritto.

VoloLontano dai media, un’anima ha scelto forse la cosa più giusta, lasciare dal suo silenzio infinito il corpo inutile. Il suo spirito tormentato trovi pace.

E adesso, per favore, umani di questa Italia divisa, abbiate la sensibilità e la grazia di ritornare in silenzio alle cose solite. Alla ricerca di soluzioni ai problemi di noi vivi. All’incontro proficuo e rispettoso secondo le regole della democrazia.

Si cali il sipario sulla vicenda. Facciamo silenzio, e gli attori e le comparse che tanto si sono agitati in questi giorni, lascino il palcoscenico in punta di piedi.

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La decrescita (in)felice

Old_Cavi_LavagnaIncontrassi un talebano – ammesso di sopravvivere all’incontro – vorrei potergli dire: “Iddio grande e misericordioso, è pure saggio, e più saggio di voi. A che serve affaticarsi a minare l’Occidente con bombe e fedeli kamikaze quando è l’Occidente stesso ad avere in sé i semi della sua distruzione?”

. Distruzione spero di no, ma recessione, decrescita economica e nuovi equilibri nella società probabilmente si incontreranno, nei prossimi anni del nostro cammino di popoli “nati fortunati” in questo pianeta. Uno sgretolamento delle forze che fino ad ora (ma non da sempre) hanno fatto da padrone nella gestione per molti versi folle delle risorse dei popoli e degli avvenimenti. Un ridimensionamento delle aspettative, ed è forse la Terra stessa che si sta scrollando di dosso quanto da tempo le appesantisce la vita di essere vivente globale. Una decrescita quindi, diventeremo tutti più poveri? E’ allora giusto allarmarsi?

Ma chissà che con questa possibile povertà materiale, non si ritrovino invece nuove misure, nuovi equilibri fatti finalmente non solo di soldi ma anche di valori umani dimenticati o messi in secondo piano, di insperate solidarietà.

Utopie? Forse. Dipenderà dalle reazioni a tutto ciò. Dalla resistenza – che è grande – delle forze economiche già adesso affannate al recupero, alla ricrescita, alla sopravvivenza del sistema. Dalla consapevolezza dei singoli e delle nazioni, dall’accettazione di regole diverse e soprattutto, dal sapere riproporre  (o proporre finalmente ex novo) intrecci e legami diversi tra sé stessi, gli altri e la natura (e qui, sicuramente, tanti scrolleranno la testa pensando appunto, è un’utopia!).

Ma già studiosi della società – e parti sempre più numerose della società civile – vi stanno pensando. Il titolo messo qui sopra viene proprio da un libro da tempo pubblicato (vedi ad esempio qua) come pure da un crescente movimento di idee e di persone, incentrato proprio sul concetto che l’economia globale sta distruggendo il mondo, il mondo stesso sta agonizzando, ed è necessario dare un freno, ritornare un po’ indietro, imparare a vivere senza per forza consumare.

Un’utopia realizzabile, quindi. Certo, una decrescita “infelice”, per molti. Ma c’è già chi la pensa in modo opposto. E magari, ha trovato l’unico modo possibile per prepararsi ai nuovi equilibri che verranno.

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